“Emilia Pérez” di J. Audiard (FRA 2024)
Tra elementi dell’Almódovar più eccessivo e del Chris Columbus di Mrs. Doubtfire (1994), speriamo di non suscitare scandalo se diciamo che questo drammatico/musical Emilia Pérez di Jacques Audiard (già vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2015 per Deephan), acclamato a Cannes e ai Golden Globes di Los Angeles, non ci è sembrato importante né coinvolgente. Certo tocca i temi sensibili del transgender, della disforia di genere (saremo scusati se il nostro lessico non è tecnicamente perfetto), ma alla fine – difficile dire se con piena consapevolezza del regista e sceneggiatore – sembra quasi ci sia un ritorno all’identità maschile, violenta, del protagonista Juan ‘Manitas’ Del Monte (Karla Sofia Gascón), quasi si dicesse che dalla natura biologica non si deflette. Vediamo meglio. Messicano, Manitas è boss della droga che rapisce per reclutarla come sua collaboratrice una giovane brillante procuratrice legale, Rita Mora Castro (Zoe Saldana) che, nonostante dentro di sé inizialmente assai combattuta, con forti sensi di colpa, fa assolvere un uomo dall’accusa di aver ucciso la moglie, delitto di cui effettivamente si è macchiato, lei sapendolo. La notizia del processo è pubblica. Fiducioso nell’abilità della giovane, Manitas intende farsi aiutare ad essere operato in incognita per cambiare sesso e vita. Si crea un legame personale. Rita, per un ricchissimo compenso, lo aiuta, cerca a Bangkok, Tel Aviv contattando chirurghi (e nella finzione scenica partecipando a balletti ritmati in corsia) finché il malvivente convince uno di loro di aver voluto sempre essere donna, e ottiene di essere aiutato. Si finge morto e diventa Pérez. La moglie Jessica (Selena Gomez) e i due figli di Manitas si trasferiscono in Svizzera per ragioni di sicurezza personale. Anni dopo, Rita li ritrova e riesce a farli tornare in Messico. La moglie dell’ex narcotrafficante creduto morto si è intanto rifatta una vita, con un uomo e i figli. Emilia P. nel frattempo ha finanziato sempre affiancato da Rita una associazione benefica contro i cartelli della droga e a difesa delle loro vittime presenti e passate e è riuscita a rientrare in stretto contatto con i suoi… Quando Emilia P., sempre più desiderosa di stare con loro, finirà per svelare a Jessica il suo passato e cercherà di ‘riappropriarsi’ dei figli con una violenza che sembra tornata da un passato ormai lontano e superato, scoppierà la tragedia.
Doveva essere un’opera lirica in più atti. Ma la versione musical (testi cantati che riprendono la sceneggiatura portando avanti la storia) non si comprende a quale esigenza risponda e come arricchisca l’efficacia della narrazione e la trasmissione di ciò che Audiard ha inteso trasmettere al pubblico sul piano dei contenuti. Non privi di momenti di buona tensione e di sequenze suggestive, rimane (involontariamente?) caricaturale, dà persino l’impressione di una notevole superficialità rispetto alla questione della riassegnazione del sesso biologico. Certo, c’è anche chi ha attribuito a una specifica volontà di Audiard la scelta di lasciare libero spazio alle alternative e alla bipolarità (bene/male, uomo/donna, violenza/dolcezza), in modo che lo spettatore discuta e si schieri. Delle numerose polemiche suscitate sui social media, non solo in Messico, in relazione al ritratto dato della societá messicana (viceversa successo ha avuto El Chapo, la fuga del secolo, film per la TV del 2016 con al centro la storia di un omonimo famoso capo del traffico della droga) e per motivi legati alla quasi totale assenza di attori e componenti messicane nel film, che avrebbe avuto motivazioni di tipo commerciale, non ci interessa occuparci. E di una frase usata da Manitas a uno dei chirurghi che valuta se operarlo («Se il corpo cambia, cambia l’anima. Se l’anima cambia, cambia la cultura. Se la cultura cambia, cambia la società») non c’è traccia di sviluppo.
Voto: 5.5