Romania, colpo di stato tramite potere giudiziario
Il titolo va letto in questo modo: come è possibile che dopo secoli di Montesquieu siamo ancora all’impiego strumentale (o meglio, come arma) del potere giudiziario? E – si badi bene – non in scala micro, tipo scandaletti berlusconiani, ma veri e propri colpi di Stato come quello che qualche tempo fa ha invalidato l’esito delle elezioni romene. Non è cosa di poco conto se anche il vice-presidente USA Vance nel discorso di Monaco pochi giorni fa ha invocato questo pericoloso precedente in due passaggi del suo discorso. Vedere qui Radio Free Europe Romanian Opposition Welcomes Vance Comments On Election Annulment
Certo, in filigrana si leggeva la stizza di Vance, poco celata, per quel che successe a Capitol Hill nel 2016 (analogia pericolosa per noi europei, è ben vero) ma il suo punto di vista è nondimeno interessante. Non dimentichiamo che gli amerikani, i nordamericani, chiamateli come volete, hanno la memoria lunga.
E soprattutto tenete presente che ora se in Romania vincono i liberali li attende la consueta maretta non pericolosa per gli equilibri europei, mentre se passa l’alternativa mossa (non troppo copertamente) dai palazzi di Bruxelles, ci saranno altre sistematiche svalutazioni della minoranza ungherese in Transilvania. Di cui notoriamente ai burocrati non interessa sapere.
Ma vediamo con ordine.
Si potrebbe pensare che col colpo di Stato giudiziario in Romania si parli solo di un Paese lontano che la maggior parte degli occidentali ignora con disinvoltura, a prescindere dalle minoranze etniche che lo compongono. Ma a ben vedere l’annullamento delle elezioni presidenziali da parte della Corte Suprema rumena assomiglia a quel genere di colpi di Stato contro il processo decisionale democratico che haavuto largo corso in Europa nel 1918-1939. Questo genere di colpo di Stato in Romania segna un’importante escalation dell’attacco al processo decisionale democratico da parte delle élite manageriali (quelle criticate da Orwell nella recensione del 1946 al libro, confezionato in USA durante la Seconda guerra mondiale e pensando al dopo, per imporre la sana e pragmatica, si fa per dire,Managerial revolution).
La ragione addotta dalla Corte Costituzionale rumena per annullare il primo turno delle elezioni presidenziali è stata l’accusa di interferenza russa nel processo elettorale (misinformation, come la definisce Vance con sana distinzione rispetto alla disinformation). Le interferenze sedicenti russe nelle elezioni sono diventate il pretesto per delegittimare ogni risultato che vada contro l’esito voluto dalle élite tecnico-manageriali. Nel 2016 si diede la “colpa” dei voti a favore della Brexit a cospirazioni e “bot” o “chatbot”russi. Le accuse di interferenze russe sono quindi fiorite all’indomani della vittoria elettorale di Donald Trump nel 2016. Quest’anno l’oligarchia dell’Unione Europea ha incolpato l’ingerenza russa sui social media per il successo dei partiti populisti di destra, a tutto spiano o tout azimouts come diceva il Generale, come documentato abbondantemente https://www.thetimes.com/world/europe/article/eu-brussels-analysis-russian-meddling-swing-right-wing-parties-xz7ldhnsr
La realtà è che tutti i tipi di regimi, partiti e interessi cercano di influenzare l’esito delle elezioni in Paesi diversi dal proprio. Gli Stati Uniti, ma anche come la Gran Bretagna o la Russia, cercano di esercitare la loro influenza negli affari interni di altre nazioni: un aspetto tra i tanti della politica estera che se fatta bene coincide direttamente con la politica interna (o meglio, come diceva Chabod, è proprio il contrario, quindi è la politica interna che viene a coincidere e collimare con quella estera).
Ma alla fine questi “attori” stranieri non hanno diritto di voto. Non sono stati i bot russi, ma i cittadini rumeni a inserire il loro voto nelle urne e a decidere di rifiutare quei soggetti che percepivano come screditati detentori di cariche politiche.
La vera ragione del colpo di Stato in Romania è allora che l’establishment politico è stato allarmato dalla vittoria del tutto inaspettata di un candidato outsider di destra, Calin Georgescu, al primo turno delle elezioni presidenziali. Temendo che questi vincesse la presidenza, la Corte Costituzionale, con la complicità delle élite politiche rumene e di altri apparati dello Stato, ha deciso di non dare tregua alla democrazia. Bei tempi quando nel Medioevo si instauravano, invece, le tregue per Dio.
Il colpo di Stato rumeno rappresenta l’esempio più lampante di attacco alla democrazia, in tempi recenti, su suolo europeo. Per quanto flagrante, la violazione delle norme democratiche è ormai diffusa da parte di forze ostili alla crescente influenza del populismo.
In genere, per impedire ai movimenti di origine o impeto populista di acquisire influenza si ricorre all’arma dello Stato di diritto o (lawfare). Prendiamo il caso delle élite tecniche manageriali francesi, documentato fin dagli albori della Quinta repubblica da noti politologi americani come per esempio Angelo Codevilla, recentemente da me tradotto in italiano: La Francia di De Gaulle : Codevilla, Angelo M., Rota, Marco, Bianchi, Andrea: Amazon.fr: Livres Costoro, si diceva, temono che la crescente popolarità del movimento di destra Rassemblement National possa portare la sua leader, Marine Le Pen, a vincere le prossime elezioni presidenziali. Per questo motivo i tribunali si sono mobilitati per impedirle di candidarsi.
Sembra verosimile che i tribunali francesi stabiliscano che Le Pen non possa candidarsi alle elezioni. I tribunali emetteranno un verdetto il 21 marzo 2025, e la Le Pen è accusata di appropriazione indebita di fondi del Parlamento europeo. I pubblici ministeri hanno chiesto la loro vendetta di “sangue” ai giudici del tribunale penale di Parigi, e precisamente che la sentenza escluda la Le Pen dalle cariche pubbliche e sia applicabile anche se lei ricorre in appello contro la sentenza del tribunale; altre precisazioni qui https://www.france24.com/en/france/20241127-french-court-to-rule-on-electoral-ineligibility-for-far-right-leader-le-pen-in-march. È evidente che il caso contro Le Pen è motivato, originato e diretto principalmente da un’agenda e una linea politica.
Il presidente rumeno Klaus Iohannis da par suo ha annunciato che non lascerà la presidenza al termine del mandato e che rimarrà fino a quando i tribunali avranno bisogno di lui – presumibilmente per respingere la minaccia rappresentata da un candidato populista. In questo senso egli non è molto diverso dal suo collega Macron. È anche possibile che Macron emuli i suoi amici rumeni e non esiti a mantenere la carica attraverso l’assunzione di poteri speciali.
Un obiettivo rilevante della “guerra alla democrazia”, come la chiamano i Brexiter, sono i social media e i punti di diffusione notizie indipendenti dai media tradizionali. Il fallimento di questi ultimi nell’influenzare gli elettori nelle elezioni americane recenti ha insegnato alle élite manageriali a apportare delle lievi modifiche, di puro maquillage o di immagine, ai social media stessi. Fino al 2024 esse hanno fatto del loro meglio per limitare la libertà di parola, inventando regolamenti volti a isolare la società dalle opinioni dissidenti. L’isteria che circonda Tik-Tok offre un esempio puramente terra-terra ma rilevante di questa ansia delle élite nei confronti dei media che faticano a controllare (ansia da prestazione?). Aspettiamoci un’intensificazione del controllo dei media da parte dei politici che parlano attraverso i loro amici o sodali dentro la magistratura.
Il lawfare si basa sulla giuridificazione, per così dire, della politica e sulla politicizzazione dei tribunali. Esso sottopone le decisioni prese democraticamente al verdetto di giudici (notoriamente non eletti, ma nemmeno i magistrati del Pritaneo lo erano). In effetti le decisioni politiche sono prese da individui che indossano una toga e che sono aspramente ostili alle aspirazioni dei movimenti populisti, soprattutto (ma non solo) di quelli di destra.
È importante capire che la politicizzazione dei tribunali viola un principio fondante della democrazia come ci è stata insegnata dagli inglesi: la democrazia liberale (inglese), la democrazia sociale (tedesca), la democrazia cristiana (italiana e, in misura diversa, tedesca) si basano sul principio che la legge e la politica devono essere tenute il più lontano possibile l’una dall’altra. Quello a cui assistiamo oggi non è semplicemente un “banale” eccesso di potere giudiziario, ma una situazione in cui lo Stato di diritto viene sistematicamente utilizzato e piegato per servire fini politici. Da rule of law direttamente si arriva a rule by law.
In particolare, e concludo, la cultura politica dell’UE è orientata all’uso del lawfare per mantenere la sua ambizione federalista. Essa utilizza i tribunali per evitare di confrontarsi con l’elettorato e convincere i cittadini ad adottare opinioni che sono generalmente impopolari nella società più larga (quella, si´, della civiltà dello spettacolo, liquida, ecc.). Questa cultura si affida al pronunciamento dei tribunali per evitare di affrontare e vincere la discussione su questioni controverse. Ed è entro questa ottica che un “piccolo” colpo di stato politico mosso dalla Corte si presenta come un “lieve” prezzo da pagare per proteggere gli interessi delle élite manageriali europee. Ma per altri questo prezzo è tutto fuorché´ leggero, e al redde rationem si può arrivare anche in maniere non previste e prestabilite.