E invece Concita…
«La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente». Fin qui Antonio Gramsci.
Invece Concita De Gregorio, in un bell’articolo dal titolo L’egemonia culturale secondo la destra (apparso su Repubblica) si chiede che tipo di egemonia stia realizzando, oggi, la destra meloniana. Fatto salvo che, in questo caso, non si può trattare affatto di un egemonia gramsciana (il gruppo sociale di riferimento ai Fratelli d’Italia non è stato affatto dirigente prima di essere dominante). Sembra che, nel caso in questione, si tratti di una egemonia nella quale il suprematismo si realizza «per censura e per decreto». Continua Concita affermando che: «È l’adesione delle moltitudini a una proposta che convince e genera consenso» a caratterizzare la vera egemonia culturale gramsciana.
Dunque siamo di fronte, seguendo Concita De Gregorio, a due forme distinte di egemonia culturale: una che parte dall’alto («per censura e per decreto») e una che parte dal basso («l’adesione delle moltitudini»). Ma non è nemmeno così. Perché anche l’«adesione delle moltitudini» fa riferimento a una proposta che parte dall’alto. Perciò il «gruppo dominante» dovrebbe persuadere. Allora: il «gruppo dominante» dovrebbe farsi interprete dello spleen presente nel Paese. E tutto quanto il discorso sembrerebbe, adesso, rivoltarsi in una specie di paradigma rovesciato: è l’Italia che si è trovata a essere sotto forma di Giorgia Meloni, oppure il partito di Giorgia Meloni ha convinto, con le proprie proposte, un’Italia che la pensava in un altro modo?
La De Gregorio afferma recisamente che questa destra-destra «vince» ma «non convince». Inoltre Ezio Mauro a suo tempo ha dichiarato che la coalizione di governo: «predilige la fedeltà alla competenza». Un bel busillis. Interrogarsi su questa strana egemonia culturale della destra-destra ci ha portato, nientemeno, a investigare il cuore del Paese, la questione del sempre affossato «merito» e la messa in campo dei concetti di «convincimento» e «adesione» personali.
Ma occorre fare un po’ di ordine. Se le persone non sono convinte della proposta del partito di Giorgia Meloni perché l’avrebbero votato? Inoltre: se l’egemonia cade dall’alto e se non c’è adesione allora stiamo parlando di un egemonia vuota (un «pensiero di un pensiero» direbbe Aristotele)? In sostanza: che tipo di egemonia culturale è quella che non ammette il «pensare altrimenti»?
Eppure Gramsci aveva parlato di un «dominio dei gruppi avversari» la cui precondizione è una «direzione» che, tra l’altro, continua anche dopo aver conquistato posizioni di governo. Se questa «direzione» non c’è, non c’è neanche il «dominio» e quindi non c’è l’«egemonia». E perché non c’è questa «direzione»? Perché mancano gli «intellettuali», direbbe Gramsci. Non solo perché non è più possibile «pensare altrimenti»; ma perché non c’è una guida, la bussola che dirige. Il battistrada.
Tutto il nostro discorso allora si può ridurre a questo: 1) mancano gli intellettuali perché non è più possibile «pensare altrimenti»? Oppure: 2) non è più possibile «pensare altrimenti» perché mancano gli intellettuali?
Nel primo caso Fratelli d’Italia avrebbe condotto una politica culturale giusta, equa e coerente fino a oggi, nel secondo caso: non siamo in presenza di una «egemonia culturale».