30 Giugno 2025
Sun

Lorenza Stroppa, La cassetta delle lettere per i cari estinti, Mondadori Editore 2025, pag. 264.

 

A cominciare da quando veniamo al mondo, ogni giorno vissuto accorcia la nostra linea del tempo; tuttavia, fino a un certo momento della vita, a meno che non siamo stati colpiti da perdite dolorose, nel nostro pensiero la morte appartiene agli altri: malati, vecchi, o semplicemente lontani. Credo invece che non esista persona che non abbia dovuto confrontarsi, prima o poi, con una perdita importante. E non è facile lasciare andare una persona cara.

La cassetta delle lettere per i cari estinti, di Lorenza Stroppa, affronta un tema doloroso, riuscendo tuttavia a sfumarlo con tinte leggere, non perché cancella il pensiero della morte, ma perché la fa accettare: è stata un’idea di Arturo, insegnante di Storia dell’Arte in una scuola media del nordest d’Italia, quella di mettere in chiesa una cassetta di questo genere, per dare la possibilità, a chi soffre un’assenza, un vuoto, di esprimere ciò che sente, come a continuare un dialogo interrotto, o a riesaminare il passato: “Non è obbligatorio firmarsi. Non serve francobollo. Le buste saranno distrutte senza essere aperte. Non riceverete risposta.”

Ma è Arturo quello che ritira le lettere non firmate, e le legge prima di bruciarle: “Non sono sempre lettere facili, quelle imbucate nella cassetta. Affondano in zone grigie, in sentimenti controversi.” Eppure quelle lettere sono importanti: “A volte, invece, scrivere alleggerisce. Le domande trovano da sole le risposte e le parole, una volta tolte da noi, dal cuore e dalla mente e trasferite su carta, fanno meno paura.”

Lui è un personaggio originale, cresciuto dai nonni, soprattutto dalla nonna, perché rimasto orfano dei genitori presto; è un creativo che ha amato fin da piccolo dedicarsi a ogni tipo di invenzioni originali e divertenti, e continua da adulto: “le sue invenzioni erano un modo di evadere dalla realtà, di far volare la mente, e soprattutto di definirsi: nell’infanzia che i nonni gli avevano donato, immersa nella naftalina e nell’essenzialità, separata dal mondo esterno da una leziosa tendina di pizzo, le invenzioni erano un modo di pensarsi diverso”.

Le lettere gli svelano tanti aspetti dell’umanità. Sono lettere di madri ai propri figli: “è raro che i figli muoiano prima dei genitori, è contro natura, e quando accade una voragine si apre all’improvviso, è un lutto che non ha nome […] i genitori che perdono i figli cosa sono?” Una affermazione che rimanda immediatamente alle innumerevoli voragini di questo genere che si sono aperte ora nel mondo.

Sono lettere di mogli ai mariti, di figli ai padri. Anche la preghiera rivolta a un padre che rende inquieti i sogni: “Perciò so che non dovrei dire queste cose, che forse ci rimarrai male, ma il mondo è dei vivi, giusto? Quindi scusa, ma ti chiedo di andartene, papà. Per piacere. Non venire nei miei sogni. Neanche in quelli belli. Almeno per un po’. Vuoi? Per favore”.

Nel romanzo dove la vita e la morte si intrecciano, la storia assume il carattere di un giallo, al centro un anziano trovato morto nel fiume vicino alla città: era un malato terminale e tutto fa pensare al suicidio. Anche la figlia Clara, corsa sul posto, sceglie di lasciare una lettera nella cassetta: è carica di rabbia contro quel padre che ha scelto di andarsene senza pensare a lei. Clara non riesce a perdonarlo, ancora non ha dimenticato la separazione dei genitori, che l’ha allontanata troppo presto dal padre.

Arturo legge, scopre una umanità tormentata, e tace. Ma quelle lettere lo fanno tornare indietro nella sua vita, lo spingono ad analizzare sé stesso nel rapporto con gli altri, soprattutto con la nonna-madre.

Arturo insegna a ragazzi di un’età critica, ragazzi fragili, in formazione, che sanno anche essere crudeli, provocatori, soprattutto se portano ricordi incisi come ferite: “Il bambino si strinse l’uccellino al petto e andò a sotterrarlo nella vasca della sabbia. Scavò un buco profondo e ve lo de pose. Lacrime silenziose accompagnarono tutta l’operazione. Solo molti anni dopo, Gabriele capì che era stato suo padre a uccidere il passerotto.” Lui l’aveva raccolto ferito e lo avrebbe voluto curare. Per Gabriele quel momento è stato la fine di un mondo in cui credeva, “sostituito da una visione a tinte forti che feriva gli occhi.”

Arturo non molla questo ragazzo che lo sfida. Anche se “un professore ha poche armi di fronte a un soggetto che mette in discussione qualsiasi forma di autorità”, lui percorre ogni strada possibile.

Ma Gabriele Breda ha qualcos’altro adesso che lo turba, che lo spinge a fumare erba, a essere ribelle a scuola, a fare disegni satirici fino all’offesa o rivelatori di una pena profonda. La cassetta delle lettere finalmente raccoglie anche una sua confessione che fa luce sulla morte dell’anziano. Intanto Clara ha preso confidenza con la casa del padre, con i suoi ricordi che riempiono le stanze, con l’orto a cui lui teneva tanto, con il professore, e le sue lettere parlano di perdono.

Arturo, Gabriele, Clara, hanno percorsi strettamente intrecciati nella ricerca di chiarezze, di sincerità, di coraggio, di amore: intorno ruota la figura di don Mario a cui nulla sfugge, che ama la vita e il buon vino, ma sa essere presente dove e quando è necessario.

Nella storia, profondamente umana e carica di emozioni, la cassetta per i cari estinti ha una importanza determinante. Silenziose e destinate al fuoco, le lettere sono complementari alle storie: “Questa lettera rispecchia il senso della cassetta: un’occasione per ricordare, far rivivere, alimentare le storie di chi non c’è più e in questo modo perpetuarne la vita.”

Nella consapevolezza che nessuno muore davvero, finché c’è chi ricorda il suo nome con amore.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.