“Sotto le foglie” (F. Ozon, FRA 2024)
L’ormai cinquantottenne François Ozon è regista discontinuo, capace di piacevoli realizzazioni come lo stesso suo esordio (Sitcom, 1998) o Otto donne e un mistero, 2002) ma anche di scivolate in basso come l’inguardabile Doppio amore (2017). In generale è una personalità tra le più accreditate e popolari del cinema francese, ma questo si lega in parte al fatto che molto spesso nei suoi film sono comparse star assolute come Deneuve, Ardant, Huppert, Marceau, Depardieu, Luchini.
Al contrario, il suo ultimo Sotto le foglie, è recitato da attori e attrici di scarsa notorietà. Al direttore di Sotto le foglie va riconosciuta una mano sensibile: si tratta di un film realistico, anche coraggioso per averlo incentrato su figure femminili né avvenenti né giovani. E suggestiva è anche l’ambientazione nella campagna borgognona, nella Francia centro-orientale, coerente con il titolo originale del film, Quand vient l’automne. La malinconia aleggia fin dalle prime inquadrature, resa evidente da una fotografia che ricorre a un uso insistito di colori ‘bottino’, ingialliti, appunto autunnali, esteticamente efficace anche per la descrizione degli interni rustici della casa dove vive la protagonista.
L’anziana Michelle vive in campagna, da sola, dedita al giardinaggio, apparentemente serena, e ogni tanto incontra una sua cara amica, Marie-Claude che abita nel paese vicino. Quando sua figlia Valérie e il suo amato piccolo nipote la vengono a trovare per un pranzo, un incidente culinario fa da detonatore alla definitiva rottura tra madre e figlia, già in rapporti difficili. Entra in gioco anche Vincent, figlio di Marie-Claude, appena uscito da un periodo di detenzione carceraria. Il suo ruolo ha inizialmente un che di ambiguo. Dietro a tutto questo, dietro ai rinfacci e alle recriminazioni di Valérie, alle tensioni fra madre e figlia, il mestiere di prostituta da lei un tempo esercitato, insieme e solidarmente con Marie-Claude.
Con implicazioni giallistiche, nell’insieme un buon film con qualche aspetto meno credibile, un po’anacronistico, forzato, come il sentimento ai limiti dell’odio, e il rancore cocciuto, nutrito dalla figlia verso Michelle proprio per la vergogna di lei bambina, non attenuata nell’età adulta, nonostante la madre avesse fatto ricorso alla prostituzione per la ricerca di mezzi di sussistenza. Altro tema: la famiglia di fatto, che si sostituisce ai legami di sangue. Bravissima la protagonista, la ottantenne Hélène Vincent (Michelle), già tra le interpreti di due film lontani: di Che la festa cominci… di B. Tavernier, del 1975 e di Tre colori / Film blu di Kieslowski del 1993.
Voto: 7