Matteo Pelliti, Quasi, Italic Pequod 2025 (con disegni di Sergio Ruzzier)
La prima cosa che mi è venuta in mente, dopo la lettura del libro di Matteo Pelliti, è stata una definizione di poetica che dà Franco Fortini, mi pare in Composita solvantur:“si dissolva quanto è composto e il disordine succeda all’ordine”, là dove si auspica che, nella poesia, si affermi la folgorante e splendida manifestazione del caos, visto che è un luogo di contrasti, di conflitti, di scelte, spesso inconsapevoli, tra l’io e il noi, tra la vita individuale e il senso dell’appartenenza a una collettività e a una storia condivisa. Questo anche perché ricordavo un passaggio di un’intervista a Pelliti in cui lui definiva la poesia come il luogo dove sperimentare proficuamente anche la contraddizione e dove raffreddare con la misura lirica qualcosa di incandescente (vissuti, fratture, traumi, elementi preverbali, elementi sub-simbolici) soprattutto, utilizzando l’ironia, spunto alla moda nel decennio precedente a questo e oggi preso in scarsa considerazione dai poeti contemporanei.
Il carattere più evidente di quello che accade dentro la raccolta è l’energia, l’irrompere in scena, in elasticità acrobatica, il passo morbido sopra la corda del ricordo, di oggetti, di cose appartenenti al passato, delle orme, dei reperti dell’archeologia onirica del nostro esistere (i giocattoli, i ricordi, i personaggi del teatrino infantile e familiare); insomma, le piccole vibrazioni domestiche, i grandi dolori (le morti che lasciano lo sgomento e che comportano la ridefinizione anche affettiva del piccolo mondo), il fibrillare degli elementi del nostro affanno quotidiano.
Dentro Quasi, di fatto, c’è tutto il repertorio della grande sfida del vivere compreso il prezioso raccontare, per immaginare, intuizioni critiche che, spesso, si accompagnano a dolorose immersioni nella nostra esistenza per dare senso al nostro essere al mondo. Comprese ovviamente le sorprese, le beffe riconoscibili come vere e proprie incursioni fra noi dell’astuzia della vita: l’errore che si trasforma in svolta miracolosa, in sorprendente rivelazione, in involontaria rivoluzione e, certe volte, in azzeramento delle tradizioni e dei dogmi di cui si è sempre nutrito il genere umano nel suo bisogno assoluto di certezze, di regole fisse per vivere senza avvertire in modo insopportabile la propria disperata, assoluta debolezza. Non a caso ogni periodo in cui si verifica la folle determinazione di cambiare il mondo, pubblico e privato, in ogni fase di irreversibili trasformazioni si parla di immaginazione al potere e si crede che il solo realismo sia chiedere l’impossibile. Che poi tutto questo geniale imperversare ed erigere barricate altro non è se non violare le regole, la condizione in cui la fantasia si sostituisce alla razionalità.
