2 Dicembre 2025
Words

La volontà che l’Europa non trova

Guerra Ucraina-Russia. Sono sul tavolo almeno due proposte: una americana piuttosto pragmatica; una europea piuttosto velleitaria.
Staremo a vedere nei prossimi giorni le direzioni che la diplomazia potrebbe prendere su queste piattaforme vicine e distanti.

Intanto Jürgen Habermas, nel corso di una conferenza tenuta il 19 novembre presso la Fondazione Siemens di Monaco di Baviera intorno ai temi della crisi delle democrazie occidentali, ha esplicitamente parlato di una «situazione globale profondamente mutata». Dentro questa «situazione» preponderante e determinante è «il declino degli Stati Uniti» a causa del «rapido cambiamento di umore della società civile americana dopo l’11 settembre 2001». Se la globalizzazione, allora incipiente da una decina d’anni, aveva provocato euforia e sbilanciamento verso il «principio di piacere» freudiano, adesso si era instaurato un vero e proprio clima di terrore, paura e angoscia collettiva. Tale «disturbo bipolare», investendo la politica interna degli USA, con un effetto-domino senza precedenti è franato, dunque, in politica estera e ha fatto defibrillare tutti gli equilibri internazionali.
Quell’Impero (del quale parlavano Toni Negri e Michael Hardt, appena un anno prima del Ground Zero islamista, quale nuovo ordine globale) a trazione nordamericana, era diventato, adesso, preda della Moltitudine che cercava il Comune denominatore per alzare la propria voce sulle macerie della globalizzazione.

Con la seconda presidenza di Donald Trump: l’ascesa della Cina sul piano internazionale (e la presenza, inoltre, del peso economico-politico dei paesi BRICS e del G20) si sono rivelate come la spia non più di una malessere solo statunitense, ma globale. In quest’ultimo periodo, si sta a lungo parlando di Occidente in pericolo, della scissione all’intero dell’Occidente stesso fra USA e UE, del tramonto di un sistema unipolare (succeduto a quello bipolare USA-URSS) a favore della nuova alba di un sistema multipolare. Il sino-capitalismo dovrebbe, alla fine, essere la risposta all’impasse non solo geopolitica ma anche culturale, nel quale l’Occidente è finito a causa delle drammatiche diseguaglianze planetarie, della crisi ambientale e climatica, della società dei tecnocrati (con la loro intelligenza non più umana ma artificiale) che hanno preso il posto dei politici, più o meno, di professione.
Tutto questo, Jürgen Habermas lo dice a chiare lettere. Tutto quello che sta avvenendo a livello politico può essere considerato come uno dei segni «precursori dello smantellamento democraticamente legittimato della più antica democrazia del mondo e della rapida edificazione e stabilizzazione di una forma di governo libertario-capitalista amministrata tecnocraticamente». Ma ad Habermas interessa soprattutto un’altra cosa. Per l’Europa cosa rappresenta questo «spostamento degli equilibri geopolitici e la divisione politica dell’Occidente»?
Detto altrimenti: quale spazio ha, oggi, l’Europa in uno scenario così eterogeneo anche rispetto al più recente passato? Habermas risponde a questa domanda con un paradosso: «un’ulteriore integrazione politica, almeno nel cuore dell’Unione Europea, non è mai stata così vitale per la nostra sopravvivenza come lo è oggi. E mai è sembrata così improbabile». Necessaria e inverosimile, tale «unificazione politica dell’UE» rappresenta l’unica possibile chance di costituire un soggetto autonomo, indipendente dagli USA, e un interlocutore credibile nel disbrigo di faccende di non poco conto, come la fine della guerra di Ucraina, ad esempio. Fin qui Jürgen Habermas.

Che altro c’è da dire? La politica spicciola è lontana dalla filosofia. Gli intellettuali hanno perso il proprio ruolo e probabilmente adesso non ne hanno alcuno. L’opinione pubblica è forgiata da mezzi tecnologici, manovrati, attraverso la raccolta dei Big Data, dai grandi provider generalisti, multimiliardari e privi di una morale precisa.
Le persone? La maggioranza delle persone pensa a non perdere il poco che ha, vuole la sicurezza e la protezione e alla fine non fa che dividersi tra angoscia e godimento non avendo a disposizione un qualche «senso» che gli dia una direzione. In una parola: è il caos.
L’Unione Europea ha due problemi: smarcarsi dagli Stati Uniti e, naturalmente, riuscire a far fronte a questo caos. Il fatto che i partiti populisti sappiano interpretare la confusione molto meglio di una sinistra deficitaria e a quanto pare a corto di argomenti convincenti non aiuta. L’Unione Europea deve così inseguire una mission insieme necessaria e inverosimile. Non un sogno, piuttosto un miraggio. Il miraggio della pozza d’acqua per chi è nel deserto.

Allora, a quanto ha detto Habermas noi potremmo aggiungere che comunque la strada è tracciata. Per quanto inverosimile essa sia, essa è pur sempre necessaria. Occorre uscire dalla contraddizione, in qualche modo. La speranza sarà finalmente verosimile quando riuscirà ad avere qualche addentellato nella realtà. Per dipanare l’oscurità serve una lanterna. Il filosofo Diogene di Sinope era uno che ce l’aveva. Questo vuol dire, forse, che siccome Diogene era un cinico oggi occorre un po’ di cinismo da parte dell’Unione Europea? No! Diogene apparteneva a una scuola di socratici minori. E Socrate, a suo tempo, aveva detto che i propri obiettivi possono essere raggiunti solo volontariamente. Il male, invece, è involontario.
Ecco cosa serve dunque. Occorre volontà!

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.