28 Dicembre 2025
Words

Crisi della sinistra

La tela. Politico o geopolitico che sia, ogni quadro è fatto su una tela. In questo momento, la tela è fragile. Equilibri precari; Harry a pezzi (film che Woody Allen girò quattro anni prima delle Torri Gemelle) che si divideva tra realtà e finzione diventa lo specchio di identità smarrite; mancanza di solidi punti di riferimento. La tela, all’interno della quale si dipinge il quadro della crisi della sinistra, è fatta di mancanza di risposte/soluzioni nette, comprensibili, popolari. Di uno scollamento tra elettorato ed elite. Di un progressivo abbandono del progressivo. In sostanza, più o meno non si intercetta alcun elettorato (definito), la cura/terapia ai mali strutturali dell’Italia si confonde con la diagnosi/prognosi. Cioé, nel pianeta solcato da possenti alisei di destra (conservatorismi, identitarismi, protezionismi, sovranismi e veri e propri ritorni al fascismo), la sinistra si attesta sulla mera constatazione dei fatti, i quali, essi stessi, dovrebbero suggerire una visione, una politica, una scelta determinata. Senza trascendenza, però, non c’è immanenza. E anche questi fatti, diventano effimeri. Esattamente come il capitalismo degli acquisti vuole che siano i consumi; da consumare, appunto, fino all’estinzione.

Il quadro. La crisi della sinistra si inserisce dentro il più ampio quadro della crisi delle ideologie. E questo, a sua volta, nell’ancora più ampio cavalletto della crisi delle idee.  Lo scrittore argentino Macedonio Fernandez, quando parlava dello «sciopero degli eventi», non poteva, certo, prevedere che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina o altri scenari di guerra.
Insomma, gli «eventi», che sono sempre dei fatti prodotti in uno spazio e in un determinato tempo, non hanno «scioperato»; la realtà esiste, manca una griglia interpretativa che la sappia decifrare. Ci sono i punti, non ci sono gli assi cartesiani. Le idee latitano. L’intero quadro pare non avere un senso; è questa la sinistra della crisi.

Il pittore. Peggioramento, mutamento improvviso, modificazione repentina, crollo, decadenza, disfacimento, stallo, recessione, congiuntura, depressione, difficoltà, squilibrio, scompenso, disagio, malessere, turbamento, inquietudine, smarrimento, attacco, acme, accesso, scoppio: sono questi i sinonimi della parola crisi. Quale preferiamo per la sinistra italiana? La sinistra della crisi si interseca con la crisi della sinistra nella figura del pittore – che è un uomo in crisi. Il pianeta non ha un baricentro. USA ed Europa si allontanano. Cina e Russia (forse) si avvicinano. Il pittore non vuole «parlare»: vuole dipingere. Dipingere un quadro nel quale i contorni non sono ben delineati e l’immagine sfugge. Sonnambulismo. Galleggiamento. Ipnocrazia. Nebbia. Il pittore è confuso, indeciso, distante e distratto. Il pensiero deboleha sostituito il pensiero forte e, a sua volta, è stato sostituito dal pensiero inumano (e quindi inesistente) della Intelligenza Artificiale. È come se si stesse guardando una rete televisiva che non ha alcun palinsesto. Chi è il pittore?

Lo spirito dei tempi. Questo è dunque lo spirito dei tempi. La crisi della sinistra si amplifica nella più ampia sinistra della crisi. Oggi, non puoi fare un «discorso di sinistra» senza considerare: il lavoro, le pensioni, le tasse; i famosi «problemi della gente». Orfana del suo elettorato tradizionale, ecco che la sinistra non cerca più alcun elettorato. O diventa neoliberista o movimentista o «sinistra di governo» o riformista e liberale del tutto. Non è un difetto di analisi. E’ un difetto di bussola. Una volta erano gli intellettuali a fornire l’orientamento. Oggi, chi è? La sinistra si trova di fronte a un bivio: o parlare alla gente, in qualche modo, in una certa maniera per la quale la gente la possa capire, o tentare la sorte del rubare una fetta di elettorato (e una larga fetta di astenuti) alla destra utilizzando (quasi) lo stesso linguaggio. In sostanza, la prossemica deve sostituire i contenuti. La forma la sostanza. La retorica la logica e l’argomentazione… Dilemmi inutili.

Krisis. La crisi è condizione «permanente» dell’umanità. Cos’ha, dunque, di speciale la «crisi» attuale? Una differenza di grado. Oggi, il gioco si gioca in una crisi che insiste su un altra, più globale, crisi. E di bussole non se ne vedono all’orizzonte, da nessuna parte. La tecnica la fa da padrona. Il neoliberismo riduce lo Stato a un notaio: esso attesta movimenti e conseguenze di dinamiche economiche, più che gestirle e orientarle. Per cui, l’attuale doppia crisi – della sinistra del nostro paese e del pianeta nella sua interezza – assume la faccia «errante» di stella, al contrario di quello che ne diceva Friderich Nietzsche, non più partorita da un «caos». Gli antichi chiamavano i pianeti «stelle erranti» e, effettivamente, gli antichi erravano: quelle, infatti, non erano stelle, erano pianeti. Oggi, di caos ne abbiamo a iosa. E di Arianne con fili adeguati a farci uscire dal labirinto, pochissime. La sinistra deve prendere in mano il caos. Quelli che parlano bene chiamano questo caos: «complessità». E, come direbbe Edgar Morin, ciò deve essere fatto con un certo «metodo»! Questo nuovo «Discorso sul metodo» prevede il ritorno ad un «pensiero forte». Come si sa, il pharmakon dei greci era rimedio e veleno, nello stesso tempo.

Conclusione. La conclusione è oscillante, forse ambigua, probabilmente inutile. Per districare la matassa del caos attuale ci vorrebbe una sinistra che si renda conto di quello che è lo spirito del tempo che stiamo vivendo e che si renda conto di essere, pur sempre, la sinistra. Un aggiornamento delle categorie? No! Ma nemmeno l’appiattimento a quello che i mai dimenticati Jalisse chiamavano «questo linguaggio da talk-show». Fuori e dentro la storia si può stare solo se si possiede un punto di vista. Tale punto di vista, in uno scenario privo di ideologie, può essere dato solo da un realismo critico. Si parte sempre dalla realtà ma per trascenderla; per superarla. In questo senso, una visione, una progettualità o, come si dice oggi, una programmazione non sarebbe male. Più che altro bisogna ricordarsi e ricordare che la realtà è quella cosa che non la puoi negare. Nemmeno gli astenuti, nemmeno il marito della Casalinga di Voghera, lo possono fare, se è per questo. È da lì, dunque che occorre ripartire. È difficile, ma nessuno ci ha mai detto che sarebbe stato facile.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.