Sala d’attesa…
L’articolo 495 del Codice Penale dice: «Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni». Mentre il 319-quater recita: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio(3) che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi». Traducendo le due accuse che coinvolgono il sindaco di Milano Beppe Sala si ha la nozione di interferenza. Sala avrebbe interferito – nell’ambito del più generale sviluppo urbanistico della sua città – nel normale iter amministrativo e politico al fine di rendersi partecipe di un sistema di speculazione ed espansione edilizia incontrollata e selvaggia. L’inchiesta che coinvolge, al momento, 74 indagati brilla tra due direttrici tra loro connesse. Da una parte, come ha ricordato Sala nel suo intervento a Palazzo Marino nel quale ha dichiarato di non volersi dimettere, la natura stessa di Milano in quanto vera e propria città globale attraversata da flussi storici progressivi non eliminabili e dall’altra, è questa la tesi della Procura, l’esistenza di un «sistema» (cioè di un gruppo di persone composto da membri della commissione comunale per il paesaggio, altri soggetti dell’amministrazione di Milano, progettisti privati e costruttori, che avrebbe favorito in vari modi la concessione di permessi edilizi illeciti per fare speculazione attraverso grandi progetti immobiliari).
In questa «Sala» d’attesa di ulteriori sviluppi si scontrano dunque due concezioni, due visioni del mondo, due Weltanschauung. Sala, con gesto filosofico-politico, dichiara: «Il mio racconto fa capire quanto il Comune si sia sbilanciato in favore dell’interesse pubblico, talmente tanto da incorrere in una condanna del Consiglio di Stato per avere sacrificato illegittimamente le aspettative del costruttore» – con riferimento al Pirellino, un edificio che ospitava alcuni uffici comunali. Il fatto nudo e crudo dell’inchiesta nessuno lo mette in discussione. E’ come se ci fossero due livelli: da una parte si sostiene che l’interesse pubblico sia stato asservito a palazzinari, architetti e faccendieri vari, dall’altra, come dice Sala stesso: «In tutto ciò che ho compiuto nel mio mestiere di sindaco, non esiste una singola azione che possa essere attribuita a mio personale vantaggio». Sullo specifico dei reati contestati questa «Sala» d’attesa rimane in attesa. La magistratura, come sempre, farà il suo corso. Sui quattro livelli che abbiamo individuato, però, molto si può dire. 1) Esiste un livello pubblico; 2) esiste un livello privato. 3) esiste la globalizzazione col suo corso inarrestabile. 4) esiste una commistione tra pubblico e privato da alcuni contestata e dalla Procura evidenziata. Dunque? Sala opera una torsione: «la collaborazione tra pubblico e privato è stata una virtù». Nel senso? Il sindaco di Milano sembra ci stia dicendo una cosa: esiste questo inemendabile tempo cui tutti siamo sottomessi, il tempo delle grandi metropoli, delle città globali, del «Pensare globale, agire locale». Un tempo che la sua giunta ha attraversato in direzione «progressista», cioè aperta al nuovo. Dunque tutto quello che la sua amministrazione ha fatto lo ha fatto in accordo con il corso naturale delle cose. Il problema è che la procura contesta dei reati specifici a questo Sindaco. Ma lui sostiene di avere reso Milano una città globale. Cioè: che non si poteva fare altrimenti. E i reati? Sarà la magistratura a indagarli. La giustificazione di Sala suona come: «Io ho fatto tutto giusto perché la giustificazione del mio operato sta nel tempo che stiamo vivendo». Filosofia? Si. Vedremo se la «Povera e nuda» (come diceva Petrarca) filosofia riuscirà a convincere i magistrati. Per adesso non resta che questa «Sala» d’attesa…