Maurizio Ferraris, Essere giusti con Heidegger. Cronistoria di una svolta, Mimesis, Udine-Milano 2025
«Una simile riflessione, che si radica nell’idea della finitudine umana, ci permette al tempo stesso di pensare il sottrarsi dell’essere rispetto a ogni tentativo totalizzante, e di guardare con occhi meno ansiosi, ma anche meno dispotici alla ricchezza del mondo storico, nel suo passare e consumarsi», scrive Maurizio Ferraris in questo suo ultimo libro. Questo rendere atto, evidentemente alla parte positiva del pensiero del filosofo di Meϐkirch, sfocia in un discreto pensiero che è, al tempo stesso, un pensiero discreto. Il garbo, la gentilezza e la delicatezza attraverso la quale Heidegger non cerca più di estorcere la verità all’essere e non è preso dalla frenesia di farlo appare a chiare lettere da queste pagine acute di Ferraris. Lungo l’asse di quella famosa svolta (la Kehre) transita infatti una nuova consapevolezza che allude, aleggia e spira e che, probabilmente, fa riferimento a quella parte umana fin troppo umana della quale siamo costituiti noi stessi. La finitezza, il senso del nulla, la temporalità, l’essere noi stessi esseri storici caduchi e transeunti …
Cos’era accaduto? Edmund Husserl aveva fissato, nella sua fenomenologia, una sorta di «Vita trascendentale come possibilità di ogni conoscenza, definita come la presenza di una evidenza a una coscienza che a sua volta è infinitamente presente a sé stessa, cioè virtualmente eterna». Utilizzando egli stesso un termine silvestre, arboreo e campagnolo («Secondo la testimonianza di Gadamer (…) la Kehre indica un tornante di una strada di montagna, dove il viandante svolta»), Heidegger indica la sua presa di congedo e il successivo dipanarsi del proprio pensiero come un distacco che è anche un cambiamento di direzione rispetto, proprio, a Husserl.
Adesso la verità non è più legata all’evidenza. Ma è «Ciò che si presenta nell’ombra di un ritrarsi essenziale». L’essere è legato al tempo. Entra anche in scena la personalità del filosofo; di colui, cioè, che interroga l’essere. Entrano anche in scena i testi che ne hanno parlato e le «tracce di vita passate». Martin Heidegger si rende conto che occorre «raccogliere lo spazio in un “ora”».
È chiaro che ci sono la morte, la dispersione e l’entropia. Ed è anche chiaro che l’essere adesso svolge la propria funzione nel celato, nel nascosto, forse nel sottinteso. Se la verità è rivelare ciò che è nascosto, ecco che «Importa che ci si indirizzi verso il maestoso silenzio, e il mistero, che precede tutte le modalità della presenza e della coscienza». Tale transizione dall’evidenza al mistero comporta anche quella dall’epistemologia all’ermeneutica. «Proprio nella misura in cui la conoscenza non avviene attraverso un atto virtualmente intemporale, conoscere non sarà cogliere con un batter d’occhio delle evidenza che trovano il loro modello nelle forme geometriche, ma imporrà piuttosto l’atto sempre ripreso di una comprensione di alcunché di inevidente». Tutto ciò, in questo cambio di direzione nel pensiero di Heidegger – menzionato da egli stesso, per la prima volta, nella Lettera sull’ “umanismo” del 1946 – produce una riflessione che fa cenno anche al nulla. «La scienza e la sua pretesa superiore sobrietà (…) non è in grado – senza la filosofia come totalità – di rapportarsi e di radicarsi nel nulla, che è la stessa cosa che l’essere, proprio nella misura in cui l’essere è sospeso al tempo che passa e che consuma».
Insomma: al fondo di tutte le cose c’è l’occulto, il mistero, qualche evento inspiegabile; «l’arcano della storia» avrebbe detto Karl Marx. Oltre l’evidenza (cioè quello che ci appare come «chiaro e distinto», secondo la celebre definizione di Cartesio) c’è qualcos’altro. A Heidegger sta il merito di avere spostato la filosofia verso regioni inesplorate. «Bisognerebbe vedere nell’uomo non tanto quell’essere che prima vive una esistenza muta e che poi parla dando nomi alle cose; ma piuttosto quell’essere singolare che è sospeso alla parola come la proprio destino, e che nella più stretta intimità della coscienza registra l’affollarsi di lettere, testi, documenti – delle tracce, cioè, di chi ci ha preceduto».
Essere giusti con Heidegger dunque, per Maurizio Ferraris, vuol dire comprendere questa esposizione. Questa impossibilità di sfuggire, al tempo, al dato, alla finitezza e alla morte, in definitiva. In qualche misura, noi siamo costituiti dalle tracce sociali e culturali che ci hanno attraversato e che ci attraversano, ancora, costantemente. «Ora» vuole dire saper cogliere il «dono» di una contingenza che diventa subito verità.
Il vero mistero non è perché Martin Heidegger abbia aderito la nazismo. Egli afferma di averlo fatto a causa di una necessità imposta dai tempi. Ovvero, ci offre una risposta del tutto spirituale a fronte di quella che era, in fin dei conti, una formidabile crisi politica. Ma lo spirito è sempre ancipite: da una parte salva e dall’altra danna. Il vero mistero è che non ci sia l’eterno. Noi siamo qui e ora; Essere e tempo, dunque, sono la stessa cosa.