Gaza e Ucraina al Lido di Venezia
Ancora prima che il festival avesse inizio, la tragica situazione del Medio Oriente è stata sotto i riflettori della 82ma edizione del festival del cinema di Venezia. Sono ormai quasi due anni dalla risposta sbagliata, sproporzionata, e dalle conseguenze disumane di Netanyahou all’atto di guerra di Hamas del 7 ottobre. Ci sono state iniziative del movimento Venice4Palestine, con un appello firmato da quasi tutto il nomen della cinematografia italiana (con l’aggiunta di Ken Loach), manifestazioni a favore della causa palestinese con la richiesta di ritirare l’invito ad alcuni artisti israeliani e a tutti quelli ritenuti sostenere “pubblicamente e attivamente il genocidio” in corso a Gaza. Molte le reazioni, e tra le altre ho notato dichiarazioni equilibrate come quelle del direttore artistico Alberto Barbera e più equilibristiche come quella di Sorrentino (sostanzialmente: sí all’uso della definizione di genocidio, no alle censure verso attori e autori israeliani), o le prese di distanza di Ozpetek e Verdone rispetto alle forme di boicottaggio degli artisti.
Tra i film in concorso spicca The Voice of Hind Rajab dell’autrice tunisina Kaouther Ben Hania, che descrive in modo commovente l’uccisione di una bambina palestinese avvenuta dopo le disperate telefonate “viva voce” della bimba con la richiesta di soccorsi. Il film difficilmente vincerà il Leone d’Oro, ma ha già vinto il primato per il maggior successo in sala con il più prolungato applauso (oltre venti minuti) e per i passaggi sui tg e sulle cronache dal Lido come evento maggiore.
In attesa dell’esito del concorso (giuria principale presieduta dal regista statunitense Alexander Payne, nella foto), non intendo addentrarmi in complessi commenti politici che non mi spettano, e che comunque lascerebbero un posto centrale alle critiche pesantissime verso l’attuale governo israeliano artefice di crimini (poco importa se di guerra o contro l’umanità) ed eccidi sistematici; e critiche che per altro verso, anche proprio per l’amore e il rispetto portato verso quel paese, richiamerebbero il suicida autolesionismo destinato a protrarre all’infinito e ovunque ostilità nei confronti di Israele e degli ebrei facendo fare enormi passi indietro verso qualsiasi forma di pacificazione dell’area o di soluzione parziale e di compromesso (“due popoli due stati”, era già prima una speranza mal riposta, e dubbia, ora di più).
Però se non commenti qualche breve considerazione va pure fatta. A Tienammen hanno troneggiato in questi giorni con una ambigua e inquietante esibizione militare le peggiori dittature del mondo e potenze atomiche, coordinate dalla Cina post-maoista ma ancora pro-maoista e non solo per un fatto di costume. Vi si è usato e propagandato lo schema del si vis pacem, para bellum, che spesso si accetta da queste dittature ma non dal mondo occidentale o europeo (vedi le polemiche su il cosiddetto, e lo si chiami come si vuole ma quantomai opportuno, riarmo europeo). Si commette in questi stessi giorni l’errore politico e la sconcezza morale di esaltare Putin come vincitore delle attuali schermaglie internazionali, e non si capisce perché lo si faccia (come già ai tempi di Obama)… intendo di legittimarlo come statista quando non si vede cosa stia vincendo a parte le asserzioni di ciò. Ma certo gli giova che l’antioccidentalismo e Trump gli abbiano regalato spazio e elementi di propaganda.
Un’altra questione, riguarda la mobilitazione che non mi risulta sia avvenuta da parte dei cineasti così sensibili e provvisti di coscienza civile presenti a Venezia per ricordare l’Ucraina e i suoi bambini, vittime che pure esistono. Contro Vladimir Putin è stato varato nel marzo 2023 (analogamente, anche se per ragioni diverse, a Netanyahou, dal tribunale internazionale dell’Aia) un mandato di arresto come responsabile della deportazione di migliaia di bambini ucraini, e la loro traduzione in Russia e la loro russificazione anche con fini di reclutamento nelle forze destinate ad agire nella guerra di invasione iniziata venti mesi prima del 7 ottobre. A questi, si aggiungano la distruzione di un paese, e le morti dei civili e i profughi di guerra ucraini, che sono milioni, forse cinque, dieci milioni di persone, donne uomini anziani bambini. L’impatto della guerra sulle famiglie, su gente che faceva la sua vita, è facilmente immaginabile.
La domanda è, premesso che non ho nulla da eccepire sulle mobilitazioni per Gaza e la Palestina, in nessun caso, anche quando incapaci di vedere altrove (e non per caso). Ma si è attivata anche una Venice5Ukraine? Non so se ci siano produzioni ucraine o sul conflitto in Ucraina a Venezia, ma nessuno si è posto il problema della opportunità di far sventolare la bandiera russa sul palazzo del cinema, tanto da indurre l’emissione del seguente comunicato del 29 agosto, che ha toni forse antipatici, certo dettati da rabbia e sofferenza:
Il Ministero degli Affari Esteri dell’Ucraina e il Ministero della Cultura e delle Comunicazioni Strategiche dell’Ucraina condannano la presenza della bandiera russa alla Mostra del Cinema di Venezia. Il festival si è aperto con la proiezione della sua prima tragicommedia. Sotto questa bandiera, in questo momento, i militari russi stanno commettendo crimini di guerra. Anche oggi la Russia ha compiuto un attacco brutale contro Kyiv e altre città ucraine, uccidendo almeno 21 persone, tra cui 4 bambini. Tuttavia, gli organizzatori preferiscono chiudere gli occhi e compromettere ulteriormente la reputazione del festival. Finché la Russia avrà la libertà di decidere come continuare a uccidere civili in Ucraina, offrirle una scena culturale internazionale non significa libertà dell’arte, ma ipocrisia, indifferenza e sostegno a un terrore ancora maggiore.