16 Novembre 2025
Culture Club

Persi l’ingegno – PPP 50 anni dalla morte

«Persi le forze mie persi l’ingegno/la morte mi è venuta a visitare» cantava Giovanna Marini di Pier Paolo Pasolini subito dopo il triste episodio del suo omicidio. Intellettuale fra i più disorganici, né apocalittico né integrato, e disseminato, del resto come Jean-Paul Sartre (tranne che per i film), in un esperienza logografa e cinematografica, Pasolini ha rappresentato l’Odradek della cultura italiana. Franz Kafka aveva scritto, nella novella del 1917 Il cruccio del padre di famiglia, di una creatura che «a prima vista sembra un rocchetto piatto di filo, a forma di stella, e in effetti sembra anche avere del filo arrotolato; si tratta però solo di pezzetti di filo strappati, vecchi, annodati e anche ingarbugliati fra loro, di tipi e colori dei più disparati». Ecco perchè Pasolini è prima di tutto un intellettuale. Un intellettuale che «sembra» ora buono per la sinistra, ora per la destra; cioè per il «filo» della politica; ma che, invece, propone le proprie idee e le proprie opere come oggetti «ingarbugliati» tra passato e presente, modernità e tradizione, critica e clinica, globalismo e regionalismo, lingua italiana e dialetto, diversità e omologazione. La sua lotta è quella per una conoscenza finalmente libera dai vincoli e dagli ostacoli del conformismo. Del mondo borghese prende le distanze e prende anche il meglio che possa trarne. Il comunismo, per lui, è l’unica strada praticabile per come non è mai stata praticata. Insomma, sul «Corriere della Sera» del 1 febbraio 1975, esce un articolo intitolato Il vuoto di potere, meglio noto come L’articolo delle lucciole.

Pier Paolo Pasolini scrive che «una decina di anni fa» è successo «qualcosa». «nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’acqua (…) sono cominciate a scomparire le lucciole». Dunque? «Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più». «Io so», direbbe Pasolini, che questo avvenimento emblematico (la modernità che fa sparire le lucciole) segna il passaggio a un mondo nuovo, a un mondo altro nel quale il poeta non si riconosce più. I «Ragazzi di vita» da un lato sono omologati e dall’altro rappresentano, ancora, una qualche anelito e spiraglio verso la verità. Unire tradizione e modernità, e nello stile letterario neorealismo e soggettività, vuole innanzitutto dire: critica. Critica acuta del mondo che Pasolini ha davanti, critica lucida e spietata, ma anche attacco «corsaro» (audace e non convenzionale) a quella verità che i sottoproletari rappresentano. Pasolini riesce a scorgere, nella loro contraddizione, il seme di una vita non «violenta» ma autentica. E lo fa con un atto sintetico hegeliano: «il proprio tempo appreso con il pensiero» diventa il teatro di un film ancora tutto da girare. Un film nel quale i buoni e i cattivi hanno, ancora, tratti ben definiti (ecco perché Pasolini rimane, pur sempre, un comunista) ma dentro al quale, le colpe e i meriti faticano a farsi distinti. Preludio di quel conformismo, di quella omologazione e di quella massificazione che, portata alle sue estreme conseguenze, avrebbe condotto a quel nuovo «fascismo» sempre, del resto, ventilato da Pasolini. «Persi l’ingegno» nella notte tra l’ 1 e il 2 di novembre del 1975, nei pressi dell’Idroscalo di Ostia. Una morte rispetto alla quale Fabrizio De Andrè ha scritto: «E’ una storia  da dimenticare/ è una storia da non raccontare». Perciò non lo facciamo. Ma facciamo un passo ulteriore; molti si chiedono sempre che cosa quell’«ingegno» avrebbe detto se fosse vissuto oggi. Pier Paolo Pasolini non fu un intellettuale engagé, anche se fu, ovviamente, impegnato civilmente; fu un intellettuale scandaloso. Nel senso dello skàndalon greco, che significa ostacolo, inciampo, intoppo. Egli fece (e fa) riflettere. Non si può evitare di imbattersi in Pasolini, nei romanzi, in poesia, nel cinema, nel teatro, negli editoriali dei giornalisti, e, nello stesso tempo, Pasolini fa impattare il nostro tempo con il suo, quello che gli è stato dato in sorte. Intellettuale Odradek, dunque, a cinquant’anni da scomparsa, che dice ancora le cose «apprese» per farle riapprende. Intellettuale scomodo, scandaloso, anticonformista, irriverente, critico, asistematico, incendiario del quale non solo, oggi più che mai, tutti noi abbiamo bisogno ma rispetto al quale, anche lui avrebbe bisogno, oggi, di noi.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.