Brogli austriaci e storia italiana
Le elezioni democratiche e la matematica, come accade spesso tra quest’ultima e le gentilissime signore, non vanno molto d’accordo. In Italia, alla metà degli anni ’80 (era il Governo Goria) fu per la prima volta difficilissimo se non impossibile raggiungere, per il Partito Liberale Italiano, il “voto di lista” nel collegio di Torino II, dove di solito i seguaci di Benedetto Croce e di Malagodi andavano lisci come l’olio. La generica paura di allora dei borghesi e il richiamo di Indro Montanelli per sostenere la DC contro il PCI “turandosi il naso” stavano facendo il loro lavoro. Senza un collegio con voto di lista autonomamente raggiunto, allora, non si poteva andare a pescare gli altri voti nel “collegio unico nazionale” e tra i resti. Ovvero, si trattava, in quegli anni, di raggiungere la percentuale minima dei voti validi, da soli, in almeno un collegio elettorale in tutta Italia.
Non so come sia l’attuale sistema elettorale oggi, troppi analfabeti l’hanno rimaneggiato, orde di incompetenti hanno messo le mani su vecchio D’Hondt modificato con il quale si distribuivano, allora, i voti eccedenti al raggiungimento dei seggi, quelli rimanenti alla lista ma non ai candidati, quelli non decisi dai Presidenti di Seggio, quelli, infine, nulli ma comunque validi. Tutte cose che, come è facile immaginare, rimangono tali e quali anche quando ci sono due “blocchi” o due partiti, secondo il modello americano o britannico.
Già, ma nel Regno Unito vale il first past the post, e il primo partito tra gli elettori vince il seggio, punto e basta. Le altre schede possono essere, dopo, utilizzate per le latrine dei pub. Il metodo D’Hondt, che vale naturalmente solo per il proporzionale prevede, in sostanza, che si divida il totale dei voti di ogni lista per 1,2,3, fino al numero di seggi, che è fisso, da assegnare in ogni collegio e che, così, si assegnino i seggi disponibili in ordine decrescente.
Quello che rimaneva andava nel Collegio Unico Nazionale, dove i partiti che non raggiungevano la “cifra di lista” almeno in un collegio, stabilita dal Ministero per ogni circoscrizione elettorale, andavano a prendere lecitamente i voti per raccattare uno, due, tre parlamentari in più.
Prima venivano, in questo modo, quelli dati alla stessa lista in più altrove, poi i rimanenti dati anche alle altre liste che non potevano più essere usati, dato che i parlamentari erano stati già dichiarati eletti nei vari collegi con “voto pieno”, come si diceva allora. Poteva accadere allora che un elettore comunista votasse, in effetti, un deputato liberale, o magari viceversa, o che un missino, col suo voto di troppo, confermasse a Cosenza un vecchio socialista antifascista. Era tutto regolare, i voti sono liberi, ma ne basta sempre un tot per eleggere qualcuno, e nessuno lo può prevedere prima. E con gli altri che si fa?
Anche quegli elettori sono figli di mamma, anzi, di Zia Demo. E voi magari credevate che Zia Demo facesse tutto solamente secondo il Vostro Illustre Volere? Impossibile. C’è Madonna Matematica che si mette sempre di traverso. Quella testarda con le sue noiose equazioni! E poi ha sempre ragione, come spesso accade agli antipatici.
Come andò allora con i liberali torinesi? Semplice: Amintore Fanfani, alla fine della sua splendida carriera politica, da ministro dell’Interno, telefonò dall’epica “batteria del Viminale” e a notte fonda a tutti i segretari di partito presenti in Parlamento, compresi missini e comunisti, e chiese se era possibile. Cosa? Beh, senza che nemmeno il PCI e il MSI fossero contrari, in quella notte il Partito Liberale, a Torino II, ebbe la sua “cifra di lista” bella piena, come la luna.
Esistono, in letteratura, diversi “paradossi del voto” nei quali, con libertà appunto di voto e severa applicazione delle stesse regole, si possono raggiungere risultati diversi e talvolta opposti. È sempre il solito dissidio tra Zia Demo e Mamma Matematica e io, lo sapete, propendo per la seconda.
E ora passiamo alle ombre che si stagliano sul recentissimo voto austriaco. Per esempio, i voti espressi a Waidhousen an der Ybbs, secondo i dati del Ministero degli Interni di Vienna, sarebbero 13.262, mentre gli iscritti alle liste elettorali di entrambe quelle aree dell’Alta Austria sarebbero solo 9026. Una affluenza al voto del 146,9%.
Si scopron le tombe, si levano i morti per impedire alla destra di vincere, ma probabilmente arrivano le contemporanee manine o manone, come è sempre accaduto, interne o estere non importa. A Linz ci sarebbe stata poi un’affluenza del 598%:
http://www.monatliche.at/sondersprengel-in-linz-598-wahlbeteiligung/ Mentre si sostiene con dati certi che il numero dei votanti dall’estero è aumentato, in una sola notte, di ben quarantamila schede.
Il presidente della commissione elettorale austriaca ha infatti dichiarato in prima battuta che ne erano state consegnate, dall’estero, 740.000, con voti validi pari a 700.000 e anche lì, in una notte, spero di luna piena, tutte le schede spedite sono tornate magicamente valide.
Che dire? Niente. Io faccio il tifo per la matematica.