22 Novembre 2024
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Le ragioni del SI

Abbiamo letto e ragionato e siamo convinti che il SI sia la soluzione per l’Italia. Qui di seguito le ragioni, punto per punto, di Stefano Ceccanti (apparse sul Corriere della Sera).

Elezione del Senato e immunità
Il nuovo Senato non sarà una Camera eletta a suffragio universale. Non deve esserlo. Perché non serve creare un doppione della Camera dei deputati che da sola ha un rapporto di fiducia con il governo. Piuttosto, il nuovo Senato deve dare voce al legislatore regionale, alle istanze dei territori e alle comunità locali: è questo il punto di svolta, la novità assoluta e per questo bisogna votare Sì al referendum. L’immunità parlamentare? Così come è stata cambiata nel 1993 con la modifica dell’articolo 68 (limitandola all’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio del mandato e alle misure restrittive) serve anche per i senatori. Altrimenti facciamo la fine della Turchia dove Erdogan può far arrestare i parlamentari di opposizione.

Camere, fiducia, territori
Quello della fiducia concessa da una sola Camera è il punto chiave e vincente di questa riforma. I cittadini che votano devono poter decidere anche la maggioranza che esprime il governo del Paese. Ma questo meccanismo funziona a condizione che ci sia solo una Camera che esprime la fiducia al governo. Non basta: serve anche che il sistema elettorale abbia un’impronta maggioritaria, un premio che consenta la governabilità. Così si passa dalla democrazia consociativa alla democrazia competitiva. Inoltre, la seconda Camera dei territori deve servire a ridurre il conflitto tra Stato e Regioni. Al Senato, che funzionerà da Camera di compensazione tra centro e periferia del Paese, la questione di fiducia sui singoli provvedimenti è irrilevante perché i senatori avranno, per così dire, un potere di veto soltanto sul tre per cento delle leggi.

Taglio dei costi
Bisogna valutare positivamente sia i tagli dei costi che arrivano subito e quelli che scatteranno a regime. Adesso, con questa riforma, tagliamo 315 stipendi da senatore ma in futuro, a regime, non dovremmo pagare più le indennità agli ex senatori. E non saranno risparmi irrilevanti. Per quanto riguarda poi l’autodichia di Camera e Senato (il potere di decidere in casa, senza sottostare a giudizi esterni, le regole su stipendi, dipendenti e appalti, ndr) va ricordato che la norma è stata fatta soprattutto per i dipendenti dei gruppi parlamentari che oggi vengono licenziati alla fine di ogni legislatura. Certo, con questi tagli non si ripiana il debito ma così i politici danno per primi il buon esempio.

È la Camera che legifera
I procedimenti legislativi, in pratica, sono solo due: quello a prevalenza della Camera, che riguarda il 97% delle leggi, e quello bicamerale che investe giusto il 3% dei provvedimenti. Il comma I del nuovo articolo 70 è più lungo ma disciplina in modo chirurgico e puntuale i due procedimenti. Non ci sono problemi, è tutto scritto: Il Senato potrà richiamare tutte le leggi che riguardano gli enti locali e presentare molti emendamenti che non sono vincolanti. E la Camera, accogliendo anche in parte le proposte di modifica avanzate dai senatori, potrà comunque sminare il potenziale contenzioso tra Stato e Regioni.

Conversione dei decreti legge
Oggi i decreti legge rappresentano una patologia nella dinamica parlamentare e la riforma supera questa anomalia. E, dunque, la novità più rilevante riguarda l’estensione dei limiti temporali, da 60 a 90 giorni, per la conversione del decreto nel caso il presidente della Repubblica intenda rinviarlo alle Camere. E poi ci sono i disegni di legge del governo da approvare a data certa entro 70 giorni che diventeranno 100-110 giorni se si considera l’intero iter anche al Senato. Così, il nuovo sistema sceglie una strada mediana: tra i 60 giorni previsti attualmente per la conversione di un decreto legge e i 500 giorni mediamente necessari per approvare un disegno di legge del governo.

Referendum abrogativo
Oggi le proposte di legge di iniziativa popolare non sono considerate in modo serio. E visto che con la riforma viene introdotto un termine per la loro calendarizzazione, ne consegue che l’istituto debba essere deflazionato: portando le firme necessarie per presentarle da 50 mila a 150 mila. Sul referendum abrogativo nulla cambia nel caso vengano raccolte almeno 500 mila firme: il quorum per la validità è sempre del 50% più uno degli aventi diritto. Se invece i promotori superano quota 800 mila firme, il quorum si abbassa alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei deputati. E questo cambiamento rappresenta un contropotere molto efficace.

Italicum
È una previsione molto efficace perché fa sentire i suoi effetti anche retroattivamente. Se infatti verrà approvata la riforma, l’Italicum (che è già legge dello Stato) potrà essere portato da una minoranza di parlamentari davanti alla Corte costituzionale. Infatti, la Consulta ha congelato i ricorsi veicolati dai vari tribunali sull’incostituzionalità della legge elettorale ma non ha ancora detto se quei ricorsi siano ammissibili o meno.

Elezione Capo dello Stato
Semmai questa norma può essere considerata sbagliata perché è troppo garantista. I quorum infatti sono alti. Perché oggi dal quarto scrutinio in poi basta la maggioranza assoluta per eleggere il capo dello Stato e poi si passa alla maggioranza dei tre quinti degli aventi diritto, prima e dei votanti, poi. Ma questo vuol dire che senza una componente molto consistente dell’opposizione il presidente della Repubblica non si elegge.

Competenze Stato e Regioni
Va chiarita una connessione che fin qui è rimasta nascosta: nessun Titolo V sarà mai soddisfacente se prima non si cambia il Senato creando la Camera dei territori. Le leggi infatti nascono dai problemi reali e i problemi reali spesso si accavallano tra materie diverse. E poi non è vero che questa riforma riporta tutto al centro e ai poteri dello Stato perché dà la possibilità alle Regioni ordinarie di diventare un po’ speciali. Cioè la Regione che ritiene di avere i numeri per farlo, può provare a contrattare con il governo una promozione di livello.

Gli statuti speciali
Sarebbe sbagliato e controproducente “punire” le Regioni a statuto speciale solo per colmare le differenze con quelle a statuto ordinario. Piuttosto, noi dobbiamo dare alle Regioni ordinarie la possibilità di salire di grado. E poi non è vero che le Regioni a statuto speciale siano paragonabili a cinque Stati completamente autonomi. Non è così: hanno il vincolo del pareggio di bilancio e, nel legiferare, devono rispettare l’interesse nazionale.