“Le città di pianura” (di F. Sossai, ITA-GER 2025)
Francesco Sossai è un giovane regista da tenere d’occhio. Veneto (come Andrea Segre), cioè feltrino trentaseienne, è al suo secondo lungometraggio dopo Altri cannibali del 2021, opera prima con uso del dialetto nata come saggio di diploma presso una prestigiosa scuola di regia, la Deutsche Film- und Fernsehakademie di Berlino.
Il suo Le città di pianura è un ragguardevole spaccato di vita provinciale e rurale, ben recitato e fine sul piano psicologico. Due amici sui cinquanta, il più taciturno e malinconico Doriano (Pierpaolo Carovilla, cantante di professione) e il più estroverso Carlobianchi (Sergio Romano) passano da un bar e un autogrill all’altro tra Treviso, Rovigo e in direzione di Venezia (si capisce che il regista si orienta benissimo in terre che sono le sue) per bere l’ultimo bicchiere prima di separarsi, il cosiddetto “bicchiere della staffa”, di fatto una finzione e dunque una specie di filosofia di vita, tra giornate confuse e chiacchiere, più o meno sennate, rimpianti e ricordi vari. A loro si unisce Giulio (un bravissimo Filippo Scotti, già in È stata la mano di Dio di Sorrentino, 2021), un giovane laureando in architettura incontrato durante le peregrinazioni venete. Spirito sognante e gentile, quello di Giulio, il quale matura piano piano una amicizia, un legame forte, con i due compari, dei quali finisce con l’apprezzare le stravaganze, il loro modo di vivere in una sorta di disincantata libertà, così lontana dalle sue attitudini e abitudini. Giulio si separerà da Doriano e Carlobianchi per riprendere umanamente arricchito il suo percorso personale. Più marginale e un po’ stonata e pretestuosa nella storia è il ruolo di un altro personaggio, detto Genio (Andea Pennacchi), al ritorno da un lungo soggiorno in Argentina, alla ricerca di un tesoretto seppellito prima della partenza per il Sudamerica. Dovessimo fare dei paragoni, il film può ricordare certo Jarmush o certo Kaurismaki. Più lontano ci sembra qualsiasi raffronto, pure fatto dalla critica, con il Risi de Il sorpasso e ancor meno adeguato con il Monicelli di Amici miei o con certe storie ambientate nelle periferie americane di Altman. Preferiremmo allora richiamare il Cinque pezzi facili di Rafelson o Lo spaventapasseri di Schatzberg.
‘Road-movie’ amaro e un po’ disperato, ma anche tenero e certamente ben girato, come nelle frenetiche scene in soggettiva dall’auto in corsa lungo le strade male illuminate o quelle dentro gli interni delle stazioni di servizio. Non si esce dalla sala emozionati, toccati dentro, ma soddisfatti per aver visto una pellicola diversa dalle usuali, e che potrebbe avere aperto una promettente carriera a Francesco Sossai. Il film ha avuto un notevole e sorprendente successo di botteghino.
Voto: 7.5
